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EFECTO GAMONAL
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22M: EFECTO GAMONAL (o “Siam tutt* black block”)

“Governano coloro che lasciarono i nostri nonni nelle fosse.”

Diego Camañero, del Sindacato Andaluso dei Lavoratori della Campagna

“Il confronto manicheista tra i partigiani della violenza o della non-violenza è sterile, un ostacolo all’elaborazione di nuovi discorsi, nuove narrazioni, nuove pratiche.”

Rolando D’Alessandro, “Il Dogma della non-violenza”

 

Vogliamo essere chiari: in questo articolo non attacchiamo alcune persone o organizzazioni che da anni lottano. Qui argomentiamo contro la posizione non-violenta, contro la strategia che ne consegue e le sue implicazioni, perché stanno bloccando la situazione.

 

Che è successo?

E’ da almeno un mese che, in vista del 22 marzo a Madrid. ci si stava preparando per una giornata di lotta di massa che non voleva limitarsi ad un solo giorno. Si poteva leggere: “rimarremo a Madrid fino a che sarà necessario”. Sebbene questo punto non era totalmente esplicito (né tatticamente ben organizzato), terminata la manifestazione cominciarono i preparativi per costituire un acampada a Recoletos. Quando iniziarono gli scontri e le cariche la acampada in costruzione fu incapace di resistere.

Una manifestazione di due milioni di persone termina con immensi scontri. Non solo la polizia viene fatta retrocedere ma nasce una battaglia campale dove i manifestanti passano all’offensiva contro le forze anti-sommossa. Gli scagnozzi dell’ordine iniziano a pagare un debito che da tempo l’ordine sta accumulando. Un qualcosa che potrebbe spiegarsi come una potente esplosione di ”Efecto Gamonal”.

Svincolarsi, era esattamente quello che la stampa stava aspettando così come gli avvoltoi aspettano la carogna. In prima pagina, su “el Periόdico” di lunedì 24 marzo: “I gruppi della marcia si dissociano dagli atti violenti”. All’interno del giornale: Gaspar Llamazares, deputato della sinistra plurale “Siamo i primi a condannare l’agire di una minoranza, ma anche il Governo per non averla saputa controllare.” Ada Colau: “E’ chiarissimo che è stata una manifestazione pacifica. Quello che è successo alla fine non ha nulla a che vedere con noi.” Su Diagonal, su eldiario.es, nella colonna – compiaciuta della confusione – di Isaac Rosa, così corretto nel criticare il lavoro o alcuni deliri della elite, così miope questo lunedì. E da tante altre parti.

Questo paese è vittima della schizofrenia, si festeggia Gamonal e poi si accusa agli incappucciati di essere poliziotti. Ma come “si vinse” a Gamonal? Come si bloccò il governo turco a Gezi park? Come si fermò il piano dell’aeroporto a Notre Dame des Landes, in Francia? Certamente non solo con gli scontri, ma nemmeno senza.

Torniamo a Madrid: qual era l’obiettivo delle marce per la dignità?

Il manifesto lo dice molto chiaramente: “No al pagamento del debito. Né un taglio in più. Via i governi della Troika. Pane, lavoro e casa per tutte e tutti”. E’ un punto d’inizio. La questione è se con un movimento pacifico potremo fermare i Mercati e la Troika, padroni dei flussi finanziari, proprietari dei grandi mezzi di comunicazione, domatori dei governi. Al momento tutti questi movimenti di massa sono scivolati addosso al governo di Rajoy. Ai Mercati ancor di più. I media e tutta la sfera comunicativa se ne dimenticano, cancellati dalle briciole dell’attualità.

Dunque la questione importante è: quali sono i mezzi per raggiungere questi obiettivi?

Due paiono essere i più importanti. Da un lato, un movimento di massa e non violento che inizia con le marce e continua con un calendario de mobilitazioni fino al 2015. Dall’altro lato, forse, accampare.

Movimento di massa non-violento

I movimenti di massa non violenti non alterano i rapporti di forza, si muovono nell’ambito della rappresentazione del conflitto, nell’ambito dell’immagine e dell’opinione, senza dubbio, nel momento decisivo, sono le forze organizzate quelle che possono lottare per imporrre una risoluzione.

“Tutte queste cose sono semplicemente “happenings”. Oggi, le nostre azioni suppostamente politiche sono spaventosamente simili a quelle degli anni sessanta. Anche quelle già (o ancora) mediavano tra essere e apparire, e, (…) in realtà si convertivano in “attori”, nel significato letterale della parola “attori”. Facevano semplicemente del teatro. La verità è che avevano paura ad agire veramente.”

Gunther Anders, “Stato di necessità e legittima difesa.”

Come si decida di non “agire veramente”, pare che non rimanga altra alternativa che costruire una candidatura e presentarsi alle elezioni. Infatti, un po’ dappertutto stanno apparendo candidature parlamentari sorte dalla vecchia “estrema sinistra” non violenta. La scommessa di questo ciclo di mobilitazioni pare essere un processo costituente, ovvero le prossime elezioni. Nel manifesto:

“Chiamiamo i popoli a esercitare la propria sovranità, alzando la proria voce dal basso, democraticamente, per costruire un processo costituente che realmente garantisce le libertà democratiche, il diritto a decidere e i diritti fondamentali delle persone.”

Candidature

Lasciamo da parte la problematica della burocratizzazione di una candidatura parlamentare, il suo spropositato consumo di energia, la sua tendenza a perpetuarsi come organizzazione costi quel che costi, insesorabilemente allontanandosi dagli obiettivi iniziali. Lasciamo a lato il problema della democrazia, dell’economia, del lavoro e del diritto. Lasciamo a lato l’insegnamento storico che mostra come in contesti simili esperimenti simili (il tentativo di entrare in Parlamento per cambiare il sistema da dentro) hanno fallito, per esempio quelli di tutti i partiti socialdemocratici e comunisti. O un esempio ancor più vicino e vivo, il movimento anti-nucleare tedesco e la deriva infame del Partito Verde.

Lasciamo queste critiche e atteniamoci al contesto.

Anche nel caso in cui si vincano le elezioni con una “maggioranza sociale cittadina”, che cosa cambierà? come cambieremo tutto? Detto con parole della “cittadinanza” e della maggioranza sociale: chi pagherà? Questa è la peggior miopia di tutti i “movimenti cittadini”. Il “cittadino” per definizione è solo di fronte allo Stato (e al Mercato). A definirlo sono la sua coscienza individuale, il suo voto individuale, i suoi interessi, i suoi soldi e le sue relazioni iindividuali. Vale a dire: è solo di fronte a forze gigantesche, di fronte a organizzazioni internazionali, di fronte al mercato intero. Forse è davvero, ora sì, l’ “ultimo uomo” di Nietzsche, il prodotto distillato di tutta la metafisica occidentale, un soffio nella lunga notte che arde della fine del mondo.

Negli ultimi 200 anni, lo Stato non è mai stato più fantasmagorico. Tutte le misure di governo dall’inizio della “crisi” sono state dettate dall’esterno, dai “Mercati”, dalla Troika, sotto la minaccia di rovinare il paese. Minacce che prontamente tornerebbero a dispiegarsi come un bombardamento psichico da parte dell’apparato mediatico globale, proprietà del sistema finanziario. Minacce il cui compimento inizierebbe attraverso un attacco mediatico internazionale, ma che continuerebbe con un colpo di mano armato. Questo è quanto mai si argomenta quando si fa l’esempio dei processi costituenti latinoamericani. Beh, questi non sono stati non-violenti. Come sarebbe stato possibile questo processo senza le armi dei paracadutisti di Chavez, che lo liberarono dall’aereo che lo stava portando fuori dal paese? “La rivoluzione non sarà trasmessa in televisione” Tanto quanto se pensiamo alla Bolivia. Dove sarebbe il processo senza l’insurrezione de los Altos nell’ottobre del 2003, senza le lotte del gas e dell’acqua e senza tutte le organizzazioni locali, di quartiere e il suo immaginario comunalista indigeno? “Diffondere il potere”.

Accampare

Un’acampada è come un accampamento, un avamposto. Un luogo che permette alla lotta di accumulare simpatia e il manifestarsi di una presenza collettiva che elettrizza l’ambiente con la sua durata e la sua determinazione. Permette una dimostrazione di forza che arriva a fermare i piani del governo turco a Istanbul. Persino a far cadere un regime, come abbiamo visto in Tunisia e in Egitto e ultimamente in Ucraina. Nessuno di questi processi è terminato, né sono successi separati o disconnessi come pretende la ragione di Stato. Al contrario formano parte di una stessa ondata insurrezionale che si sta propagando per il pianeta, sono alcune delle pietre miliari che segnano un’epoca. Per la precisione, l’epoca che ci è toccato vivere.

Oggi, se si vuole installare un accampamento bisogna esser disposti a difenderlo. Non ci sono alternative. La sfida è troppo grande e la situazione è insostenibile. E il governo sa bene che l’ondata di simpatia e appoggio che l’accampamento risveglierebbe lo farebbe tremare come un gigante con i piedi di fango.

Senza dubbio, sono precisamente gli esempi della Tunisia, dell’Egitto e dell’Ucraina a dimostrarci che non è sufficiente accampare per ribaltare la situazione. Quando il gigante trema arrivano le forze organizzate. Per questo bisogna costituirsi in forza rivoluzionaria. Questo è quello che non capiscono tutti coloro che invocano un “processo costituente”. Ovunque il processo costituente è stato il primo strumento contro-rivoluzionario. L’ordine, all’emergere dell’insurrezione, tenta sempre di chiuderla un’altra volta costituendo all’interno della popolazione un corpo politico (David Galula, “Contre-insurrection”. Manuale dell’Impero). Come si è detto, non si tratta di aprire processi costituenti ma di costituirsi in forze capaci di destituire l’ordine parassitario di questo mondo. Forze rivoluzionarie.

Efecto Gamonal.

Si pretende forse costruire un movimento “dissociandosi” da tante persone che lottano? Basta solo guardare il video e la divisione di opinioni in internet, dove sempre più persone non vogliono “dissociarsi” dagli scontri. L’ultima lotta che  “ha vinto” è stata quella di Gamonal. Perchè tentiamo di negare come ci sentiamo?

Il video, le immagini, producono in noi un sentimento di approvazione, di rettitudine. La furia è stata collettiva, ci siamo difesi quando ogni giorno ci stanno attaccando. C’è una verità sensibile in Gamonal e nel 22M, una verità che tutti sentiamo, perché ciascuna e ciascuno sappiamo nel nostro cuore e nella nostra pancia che ci stanno rubando la vita. Sappiamo che con l’incremento dei mezzi tecnici negli ultimi 50 anni l’incontrarci in una situazione del genere è un’autentica presa per il culo. Nel nostro cuore e nella nostra pancia sappiamo che ci stanno derubando e che a un certo punto bisognerà fare i conti.

L’ “efecto Gamonal” è questo sentimento di affermazione che ci inonda, che ci fa risuonare come una musica invisibile. Una verità lotta per fuoriuscire ed incontrarci, bisogna abbandonare il dogma della non-violenza e organizzarsi ovunque, dotarsi dei mezzi necessari per una lotta che sarà dura. “A sara dura!”

“Siam tutt* black block”

Anche in Italia c’è una lotta che è fonte di ispirazione, faro e luogo d’incontro, è la lotta contro il treno ad alta velocità, la lotta NO-TAV in Val di Susa. Là, dopo una delle battaglie campali durante l’estate del 2011, il Coordinamento dei Comitati Locali dei paesi della Valle, nonni e nonne, bambine, madri, fecero una conferenza stampa il cui slogan era “Siam tutti black block”. Questo enunciato pone fine ai 10 anni di confusione e divisione iniziata da parte di Susan George in relazione agli scontri a Genova. Ci sono molti modi di difendersi e gli incappucciati sono chiunque, siamo noi, così come in qualsiasi casa della Valle, dietro la porta, appese insieme ai cappotti ci sono le maschere anti-gas della famiglia.

In Francia la lotta della ZAD a Notre Dame des Landes, a fianco a Nantes, “contro l’aeroporto e il suo mondo”, ha praticato differenti tattiche all’interno dello stesso movimento, ma a tutti risulta ben chiaro che senza alcune forme di resistenza non si sarebbe potuto bloccare il progetto dell’aeroporto. La ZAD è un’area di svariati ettari dove da più di un anno la polizia non può entrare. Un mese fa a Nantes c’è stata una manifestazone di massa, più di 60.000 persone appoggiando la lotta, manifestazione che si è concluse con grossi scontri.

Pensiamo altrimenti alla Germania, l’ultimo successo di Amburgo o la rinnovata lotta contro i trasporti nucleari “Castor” dove nel 2011 si poteva vedere una composizione simile a quella della Valle, varie manifestazioni, trattori che bloccavano le camionette della polizia, incapucciati nei boschi che sabotavano le strade e lottavano contro la polizia, maschere anti-gas dietro le porte delle case delle famiglie. Oppure in Grecia, la lotta di un’intera popolazione contro le miniere d’oro a Calcidica e Kilikis. Ricordiamo el Alto boliviano, Gezi park a Istanbul, le lotte a Tahrir e nel bacino minerario della Tunisia, oppure come dopo un folle giugno in Brasile si alzò un grido: “Il black block è mio amico”, “il black block è mio studente”.

Gamonal ha sintonizzato il tono vibrante della nostra epoca. Il 22M dimostra che non pensiamo abbandonarlo.

Contro la confusione

Vogliamo che non ci si fraintenda. Nessuno sta qui argomentando per “la violenza”, nemmeno sono convinto se questo è quello che vorrei dire. Il mondo che abitiamo si caratterizza per una violenza stutturale e brutale contro le vite e le condizioni di vita, ovunque, in tutto il mondo. Le stesse banche, le stesse organizzazioni internazionali, le stesse aziende appoggiate dagli stessi Stati democratici e capitalisti. Qui e ora ci sono molte cose che si posono fare semplicemente organizzandosi. La lotta ha molte dimensioni. Quello che penso è che è inadeguato negarsi delle forme di lotta. Forme di lotta che appartengono al bagaglio di tutte le nostre generazioni di vinti.

Quello che penso è che si stanno diffondendo forme offensive e di auto-difesa che si adeguano all’ostilità dell’ambiente. Tatticamente parlando è sempre nefasto attaccare direttamente e sul suo terreno un avversario più forte e meglio preparato. Senza dubbio, ci sono modalità che non sono l’ “attacco frontale” alla fortezza.

Infatti, per interrompere l’attuale ciclo catastrofico, sarebbe molto più efficace in una giornata di furia disabilitare gli uffici dei burocrati pubblici e privati diffusi sui territori, così come i centri dei loro scagnozzi, piuttosto che andare a circondare un qualsiasi Parlamento teatrale o che mettersi alla prova con un corpo umano che ha perso le insigne del potere.

Se avessimo dedicato tutti questi anni a construire una posizione autonoma consistente, diffusa ovunque, capace di sostenere i propri enunciati e di propagarsi materialmente con i propri mezzi invece di cercare di andare sempre troppo velocemente, capace di includere tutt*, un tutti e tutte  composto da elementi separati, diffusi, “io è” atomizzati che sono asse e centro, perimetro e orizzonte delle proprie vite, allora, allora,… avremmo forse superato l’impasse, saremmo usciti dal limbo – il mondo tra i vivi e i morti –.

Alcun* abbiamo già iniziato.

 

“Saper innalzare una barricata non vuol dire molto se allo stesso tempo non si sa come vivere dietro di lei.”

Scritta sulle pareti di Bologna, nel marzo del 1977.

(traduzione da al-khimiya – alkimia.info)

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